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L'Amore Universale

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L'amore, ogni amore, fa storia a sé, al di là delle congiunture temporali e spaziali. E' per ciò necessario osservare ogni amore sgomberando il campo da qualsivoglia pregiudizio, restituendo ad ogni apparente anomalia il suo carattere di normalità, insieme -appunto- alla natura strettamente temporale e culturale di ogni pur bizzarro concetto e pratica amorosa, comprese le qui osservate pratiche odierne. Ciò detto, al di là di ogni particolarità, chi si diverte a tradurre in freddi processi biochimici la misteriosa poesia della natura umana, pare abbia individuato alcuni dei meccanismi universali che inducono l’amore, dimostrando che, quando ci innamoriamo e nelle fasi che succedono all'innamoramento, si scatenano nel nostro corpo tutta un serie di reazioni biochimiche che inducono sensazioni di euforia, attrazione, desiderio, passione e, poi, via via che la conoscenza dell'Altro si fa più profonda, tenerezza, calore, cura... Si tratterebbe, secondo ormai nume

Quando tuo figlio impiega troppo per studiare

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In tanti anni di lavoro con studenti di varia età e capacità, ho imparato a frazionare questa macro categoria in molte interessanti sottocategorie che mi aiutano a capire come funziona il mondo degli studenti e quali strategie adottare per meglio aiutarli. Una di queste è quella relativa ai tempi di studio. Abbiamo, in questo senso, due sottocategorie più o meno simili per densità, ma opposte per atteggiamento: quella di coloro che dedicano pochissimo tempo allo studio, (a volte perché se ne fregano, altre perché non ne hanno bisogno) e quella di coloro che impiegano una quantità di ore esorbitanti. In entrambi i casi non significa, per inciso, raggiungere buoni o cattivi risultati. Vi sono, infatti, quelli che se ne fregano ma, alla fine, se la cavano sempre, seppur con risultati inferiori rispetto alle possibilità; e pure quelli che, pur passando ore e ore sui libri, ottengono risultati comunque scarsi o insufficienti.  Vi è poi la terza categoria, decisamente minore, di coloro c

Il caso del bambino indemoniato

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“Nostro figlio è indemoniato,” così esordì una simpatica coppia, entrando nel mio studio un giorno di primavera.  Il posseduto è Enea, un piccolo esserino di quasi quattro anni che, da diversi mesi, impreca amabilmente, sconfinando un paio di volte in accenni di blasfemia.  I genitori, due quarantenni credenti e praticanti, nonostante una certa dose di ironia (che gli aiuterà non poco), erano ovviamente più che preoccupati e, dopo diversi falliti tentativi di dissuasione, avevano pensato di farsi aiutare, in parte perché il fenomeno era in aumento e in parte per capire se nascondesse altro.  Come mia abitudine, in tutti i casi che coinvolgono soggetti che non presentano problematicità organiche conclamate (soprattutto se bambini), cerco in prima istanza di capire se è possibile operare coinvolgendo l’universo affettivo e relazionale a loro contiguo: la famiglia e i genitori in primo luogo, attraverso una terapia indiretta, affinché siano loro ad agire (almeno inizialment

Pirla chi (non) legge!

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“Qual è la cosa che ti piace di più. La cosa che, potendo, non smetteresti mai di fare?”. Sottopongo spesso le persone che si affidano alle mie cure a questo piccolo test la prima volta che le incontro. Una domanda che, ovviamente, non ha alcun intento diagnostico (e non lo vuole avere), ma le cui risposte, come potete intuire, possono essere foriere di tante interessanti riflessioni. Ci sono, ad esempio, coloro che non sanno che dire perché nulla li entusiasma, o quelli che non sanno che dire perché, al contrario, troppe cose li appassionano e faticano a scegliere. Ci sono poi le risposte che sottolineano le tendenze di un’epoca. Quelle che, invece, caratterizzano l'età dell’interrogato e quelle che ne divergono proiettandolo in un altrove anagrafico. Oppure ci sono le risposte bizzarre, che meritano una loro considerazione a se stante per la loro irrilevanza statistica… Insomma, ogni restituzione abbozza un mondo (quello del curato) e stimola il flusso di un disegno a m

Il Fabbricante di Pause

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Nel bestiario delle diverse difficoltà, non necessariamente organiche, che pregiudicano l’efficacia dei processi di apprendimento, un posto d'onore è spesso occupato dalla capacità o meno di ogni studente di gestire le pause. Possiamo sostanzialmente suddividere questi soggetti in tre grandi categorie. La prima è quella del maratoneta, colui che non fa una pausa manco a sparargli e se ne sta attaccato al libro ore e ore, finché non ha concluso ciò che deve studiare. Questa categoria, non particolarmente numerosa, tende ad aumentare i suoi adepti in prossimità di ogni verifica, esame o interrogazione quando, insane e improduttive full-immersion dell’ultimo momento, illudono lo studente di poter recuperare settimane di pigro fancazzismo o semplicemente placare l’ansia del “non mi ricordo più niente”. Numerose ricerche hanno dimostrato che questi straforzi dell’ultimo minuto non solo sono inutili, ma anche dannosi per la salute, tanto che, per essere più efficaci, si do

Bambini che non trovano arcobaleni

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La mamma di Mirko e Fabiola (6 e 7 anni) mi racconta che lo scorso weekend il loro telefono cordless superdigitale è passato improvvisamente a miglior vita. Così, per non restare isolati durante il fine settimana, il papà si è ricordato di avere un vecchio telefono in soffitta, di quelli ancora con la ghiera di plastica per comporre il numero. Detto fatto, il telefono viene istallato tra la curiosità dei bambini di fronte a quel reperto paleolitico e la voglia di provarlo e raccontare ai nonni l'accaduto. Il primo che ci prova è Mirko, il più grandicello... niente da fare: "Papà, non funziona questo coso," dice. Allora è il turno di Fabiola, ma... niente: altro insuccesso. Dopo diversi tentativi, i genitori divertiti decidono di intervenire spiegando ai bambini che per comporre il numero non bisogna schiacciare, ma infilare il dito nel buco e ruotare la ghiera. Nati digitali privi di problem solving? La questione è più seria di quanto l'episodio non riveli. M

Ti etichetto (ma io non sono un pacchetto)!

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Ogni genitore desidera che i propri figli crescano nel migliore dei modi e si impegna nella loro educazione, fornendo quelle solide basi sulle quali crescere e sviluppare una dose sufficiente di autostima e capacità di realizzazione. Ecco, la realizzazione dei figli, il desiderio fortissimo che “facciano bene” e la paura viscerale che “facciano male” , sono quelle spinte intrinseche che, se da una parte ci spronano a fare del nostro meglio, dall’altra ci portano spesso a fare del nostro peggio… e quel che è peggio, è che lo facciamo nella convinzione di fare del nostro meglio! La scelta delle parole che pronunciamo e la qualità della comunicazione con i figli, ad esempio, possono influire notevolmente sulla fiducia e sulla sicurezza (o insicurezza) che svilupperanno. Utilizziamo le parole senza renderci pienamente conto dell’effetto che possono sortire (spesso ben più profondo del previsto) e capita che, in seguito ad atti di non gravissima entità - come ad esempio roves