Ti etichetto (ma io non sono un pacchetto)!
Ogni genitore desidera che i
propri figli crescano nel migliore dei modi
e si impegna nella loro educazione, fornendo quelle solide basi sulle quali
crescere e sviluppare una dose sufficiente di autostima e capacità di
realizzazione.
Ecco, la realizzazione dei figli,
il desiderio fortissimo che “facciano bene” e la paura viscerale che
“facciano male”, sono quelle spinte
intrinseche che, se da una parte ci spronano a fare del nostro meglio,
dall’altra ci portano spesso a fare del nostro peggio… e quel che è
peggio, è che lo facciamo nella convinzione di fare del nostro meglio!
La scelta delle parole che
pronunciamo e la qualità della comunicazione con i figli, ad esempio, possono
influire notevolmente sulla fiducia e sulla sicurezza (o insicurezza) che svilupperanno.
Utilizziamo le parole senza renderci pienamente conto dell’effetto che
possono sortire (spesso ben più profondo
del previsto) e capita che, in seguito ad atti di non gravissima entità - come
ad esempio rovesciare inavvertitamente un bicchiere contenente due gocce di
succo di frutta - si senta un padre sbottare: “Cretino!”, o madri che rimproverano con un “Sei
proprio uno sciocco!” il bambino che ha
perso la macchinina al parco giochi, per non parlare di quelle frasi che si
sentono tuonare per strada o al supermercato quando i genitori, in preda al
panico per il comportamento dei figli, non trovano nulla di meglio da dire: “Se
non ti comporti bene, viene la polizia e ti mettono in prigione!”. Chi? Cosa? Perché? Mi portano via?!? PA-NI-CO.
In queste frasi, oltre alla
scelta delle parole, quello che si nota è come, a fronte di un comportamento
ritenuto non idoneo, venga espresso un giudizio sulla persona. C’è una bella
differenza tra dire (e sentirsi dire) “La cosa che hai fatto è un po’ sciocca”
o “Sei proprio uno sciocco!”: la prima si
focalizza sull’azione compiuta, la seconda esprime un giudizio di valore, la
prima è contestualizzata ad un episodio, la seconda generalizza e non offre
possibilità di replica… si tratta, cioè, di un’etichetta, con la quale
marchiamo la persona che ci sta di fronte e più la pronunceremo nel tempo,
anche per episodi futili, più questa etichetta sarà difficile da
togliere.
Le etichette al positivo sono
meno pericolose? Beh, diciamo che forse
sentirsi dare del “genio” possa essere più piacevole che sentirsi dare dello
“stupido”, ma anche in questo caso dobbiamo pesare bene alle parole ed al loro
utilizzo. Anche un’etichetta al positivo potrebbe infatti creare qualche
difficoltà: pensiamo al bambino che fino dalla prima elementare viene
etichettato come “genio in matematica”, materia nella quale sicuramente
eccelle…peccato che la sua vera passione sia Arte. Verrà probabilmente
incoraggiato a fare Ragioneria o il Liceo Scientifico, dovrà
rispondere negli anni alle aspettative dei genitori (d’altra parte eccellere in matematica sembra renderli così orgogliosi
e felici…) e magari cercare lavoro in ambito economico-amministrativo, rinunciando
alla sua vera passione. Potrà eccellere
nella vita e nel lavoro, ma a caro prezzo, visto che dovrà rispondere ad un
ruolo che – anno dopo anno, etichetta dopo etichetta – gli è stato cucito
addosso, impedendogli di scoprire e di seguire le sue naturali inclinazioni.
Un bambino “etichettato” come
bravissimo dovrà sempre mantenere e addirittura superare le aspettative che gli
altri ripongono su di lui/lei, mentre un bambino “etichettato” come quello che
non si impegna, faticherà a trovare la giusta motivazione per fare meglio,
soprattutto se – come avviane in molti casi - quando finalmente porterà a casa un bel voto, i genitori
daranno per scontato che abbia copiato o gli ricorderanno: “Visto che se vuoi
puoi fare bene? La prossima volta DEVI fare ancora meglio, mi raccomando!”,
come se quel piccolo miglioramento, frutto di tanto impegno, non fosse mai
abbastanza.
La critica, se ben fatta, può
anche essere costruttiva, ma deve avere
alcune caratteristiche che la rendono tale. In particolare deve:
-
essere contestualizzata e limitata al singolo
fatto/episodio;
-
evitare le generalizzazioni (tutti, sempre, mail, ecc.)
ed i paragoni;
-
essere fatta con calma e non come sfogo personale;
-
non contenere un giudizio sulla persona;
-
evitare di essere fatta pubblicamente (gogna pubblica);
-
non sminuire/mortificare/deridere;
-
dare la possibilità di spiegare la propria versione dei
fatti;
-
avere fiducia nella possibilità di migliorare;
-
dare spunti ed indicazioni sul come fare.
In questo modo potremo fornire
dei suggerimenti per il miglioramento, sostenendo chi ci sta attorno in un
percorso di crescita e maturazione che non significa averla sempre vinta o
pensare che sia tutto facile, ma sviluppare una giusta dose di fiducia in se
stessi, di tolleranza all’errore (proprio e altrui) e di speranza nella possibilità di crescere valorizzando la propria
strada.
Attenzione quindi alle parole
che usiamo: evitiamo, in particolare, che
diventino etichette che appiccichiamo con facilità alle persone (in primis ai
bambini). Un conto, infatti, è rendersi conto di avere fatto una cosa un po’
sciocca, un altro è pensare di essere uno sciocco! In particolare se questa
modalità verrà utilizzata ripetutamente, ecco che una semplice parola con il
tempo si trasformerà in un’etichetta, che magari abbiamo attaccato con un po’
troppa superficialità, ma che chi porta farà fatica a staccarsi… la
colla in certi casi è davvero potente!