La chiave nella mano - Un piccolo racconto veneziano
Alla piccola palestra è il momento del rientro, dei racconti
delle vacanze con i figli e la famiglia, gli amici, i ricordi ancora vivi sulla
pelle e negli occhi, ma anche i primi segni di stress da rientro e da
“ri-comincio”.
Ci eravamo lasciati con una riflessione sulla necessità di allenare il muscolo del dubbio che tanto ci aveva stimolati e incoraggiati, qualcuno si era persino lasciato andare a facili entusiasmi.
Ma ora siamo qui pronti a ricominciare e la vacanze sembrano già lontane. Prevale la preoccupazione per l'organizzazione dei tempi “produttivi”; lo stress delle
difficoltà scolastiche che si ripresentano; il recupero di debiti scolastici
dei quali, fino a qualche ora prima della riapertura della scuola, non
conosceremo l’esito.
Tra i genitori c’è qualche insegnante che porta la doppia
fatica di questo ri-cominciare e il dubbio doppio del “far bene”, del “far
meglio”, del “potercela fare”.
Un insegnante in particolare torna sui dubbi di giugno. Le decisioni prese a fine anno scolastico e che lungo l’estate “hai potuto rivedere
con più calma e distacco e ritrovandoti – senza i colleghi – col dubbio di aver
sbagliato”.
Poi una mamma che si è ritrovata con una figlia che
improvvisamente quest’estate si è rivelata molto più grande di quanto lei
avesse colto, tutta presa a mirare la
“cristalizzazione” di una bambina che non c’è più.
Le difficoltà scolastiche sono quelle che in questo momento
preoccupano maggiormente i genitori, ma anche gli insegnanti non nascondono la
stessa preoccupazione vista dalla loro parte.
Perché le stesse difficoltà, viste dall’altra parte, sono
ancora, altre difficoltà.
Spaventa il conflitto, quello con le famiglie e per le
famiglie, quello con la scuola.
E ancora fa paura l’affrontare il conflitto coi propri figli
e coi propri alunni.
La discussione verte sul fatto che questi bambini e questi
ragazzi non ascoltano, non sanno ascoltare, e ognuno evoca episodi, racconta
aneddoti, anche divertenti, e tutti sembrano concordare.
Fuori dal coro la voce di una mamma solitamente più silente
che racconta di come lei crede che siamo noi – noi adulti - che non siamo
disposti ad ascoltare loro, ad accoglierli con i dubbi che ci portano e che
forse abbiamo paura di ascoltarli perché le nostre certezze cadrebbero.
Naturalmente queste dichiarazioni animano la discussione,
alzano le difese di ognuno e sollecitano una riflessione sulla paura nella
relazione educativa.
E’ ora di provare ad avviare almeno uno dei nostri esercizi,
visto che la gran parte del tempo a disposizione si è utilizzato per questo
vivace e interessante dibattito.
Propongo allora un piccolo racconto personale di ciò che è
avvenuto un paio di settimane prima.
Sono alla Biennale d’Arte di
Venezia guidato dallo sguardo dei miei due figli - 6 e 10 anni - e la loro
curiosità - ancora libera dai mille preconcetti e filtri verso l’arte
contemporanea che tanti “compagni di visita” adulti porrebbero – tutta a mia
disposizione.
Siamo nel padiglione giapponese
dove l’artista Chiauro Shiota ha
allestito un’installazione dal titolo “The key in the hand” nella quale una
enorme ragnatela rossa -con le chiavi che pendono- nasce dalla chiglia di due
barche.
Lo spazio è decisamente
affascinante e suggestivo e cattura la curiosità e l’attenzione di Pietro, 6
anni, che immediatamente si immerge alla ricerca di punti di vista che possano
offrire soluzioni o risposte alle domande inevitabili davanti a quell'enorme rete
di fili rossi dalle cui trame pendono la bellezza di 180000 chiavi.
Queste immagini scatenano la
frenesia dei miei figli nello scattare foto e cercare punti di vista diversi e
senza cercare di imitare i tentativi di sguardo dei numerosi adulti presenti
nel padiglione in quel momento.
Come di rito chiedo a Pietro cosa
ne pensa, dove crede di trovarsi e cosa pensa possa essere tutto quel groviglio
di cose.
Mi guarda e, come a preparare lo
sguardo giusto per dire quello che sta per dire, prende tempo e dopo qualche
istante mi dice che lui non sa esattamente di cosa si tratta ma tutte quelle
chiavi hanno perso le loro porte e che forse sono imprigionate in quella rete e
non riescono a raggiungere le loro serrature.
Non mi sono soffermato sulla
presentazione dell’opera all'ingresso del padiglione e decido che per ora poco
m’importa, ho deciso di farmi guidare dalle evocazioni suggerite dai miei
bambini e di percorrere la strada immaginativa rincorrendo le suggestioni che
questi due accompagnatori d’eccezione, guide ufficiali e abusive, riescono a
offrirmi.
Chiavi che hanno perso le loro
porte, un numero incredibile di chiavi, lì a disposizione, che possono condurre
ad altrettante porte da aprire, per scoprire cosa c’è oltre le stesse.
Ma la cosa si fa ancor più
interessante quando all'esterno del padiglione il tutto appare collegato a
video di bambini piccoli che parlano dei loro ricordi prima e immediatamente
dopo la nascita, e alla foto di una bambina che tiene in mano una chiave.
Tutte queste chiavi, le reti,
portano ad un mondo di bambini che aprono ad un mondo magico fatto di ricordi e
di racconti e la chiave, una possibile chiave, quella che ha aperto chissà
quale porta, ce l’ha in mano una bambina.
“Forse perché lei ha avuto il
coraggio di prenderla” è il commento di Pietro.
E qui, il colpo di grazia è dato.
La mia mente parte lungo le
evocazioni segnate sul percorso di una grande suggestione che si apre al mio
sguardo.
I bambini offrono sempre una
chiave possibile, hanno sempre il coraggio di prendere una chiave e porgercela
affinché insieme si possa attraversare il solco di una porta che conduce oltre.
E’ la metafora della relazione
educativa, di quell'atto di coraggio e di rischio che ogni relazione educativa
prevede e richiede.
Non è un atto così semplice
quello di prendere una chiave e osare l’apertura di una porta, di attraversare
quel mare di incertezza che la complessità stessa del reale ci pone di fronte
come unica certezza.
Il timore, in educazione, ci
conduce sovente a nasconderci dietro le certezze, a cercare risposte
definitive, ben consapevoli che non esistono risposte definitive.
Dimentichiamo che nella natura
delle relazioni la cifra è quella delle incertezze, dell’imprevedibilità e nell'ansia
di “far bene” dimentichiamo l’altro e la chiave che questo porta nelle mani.
La paura è uno dei grandi filtri
che impedisce un ascolto autentico dell’altro, a volte ci manca il coraggio di
guardare chi abbiamo di fronte, preferiamo guardare all'immagine che abbiamo di
lui, all'idea che ci siamo fatti di lui, e spesso ci fermiamo a questo rinunciando
all'avventura di prendere la chiave che l’altro ci porge.
180000 chiavi possibili sono lì
pronte ad essere utilizzate, provate, prese in considerazione, osservate,
rispettate, sono le numerose possibilità che abbiamo per andare oltre
l’omologazione, la possibilità di guardare
alle cose come se fossero giuste (o sbagliate) e basta.
La possibilità di assumere tanti
punti di vista e soprattutto pensare che ogni bambino tiene in mano una
possibile chiave per aprire una possibile porta e che questa è la grande
opportunità e il grande privilegio che ognuno di noi educatori, pedagogisti,
genitori ha a disposizione in ogni istante di vita di quella relazione così speciale
e complessa.