Speech Therapy for Dummies, ovvero: Logopedia per tutti

AVVERTENZA 1: con il post di oggi, ci poniamo l'obiettivo di affrontare l'argomento "logopedia e affini" in modo semplice e forse un po' (troppo) canzonatorio. Per questo motivo, la traduzione della parola "dummies" risulta essere volutamente inadeguata: l'utilizzo del significato originale ("negati") potrebbe infatti risultare offensivo.

AVVERTENZA 2: ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

I fatti:
Giovedì sera, aperitivo con amici e amici di amici:
"E tu, che lavoro fai?"
"La logopedista"

Momento di smarrimento.
Si avanzano le ipotesi più disparate: dalla cura dei piedi ai massaggi.
Si prova a ricostruire il significato partendo dall'etimo.... "Logos vuol dire linguaggio".
Fuochino.
A quel punto, qualcuno ricorda di aver visto "Il discorso del re" seguito da cenni di approvazione e commenti commossi. La storia del logopedista che aiuta il futuro re balbuziente ha toccato il cuore di tutti. 
E poi arriva la domanda, inesorabile, ma più che inquisitoria, ha tutta l'aria di essere un'affermazione: "Ma in realtà queste cose non funzionano, vero?"

Si continua cercando di spiegare che il campo d'azione della logopedia è molto vasto e che la riuscita di un percorso terapeutico è legata a tanti fattori come la gravità del problema, l'età del paziente ecc... Si esce dal guado grazie a qualcuno che improvvisamente si ricorda del figlio della vicina e del suo linguaggio incomprensibile. Suddetto pargolo venne poi inviato dalla logopedista con risultati, si vocifera, incredibili.
"Mi raccontava che lo faceva giocare e disegnare".
A questo punto, l'accostamento a una maestra d'asilo è inevitabile.
La professione della logopedista si trasforma nel perfetto punto d'incontro fra un'insegnante di dizione e una Mary Poppins de noantri.

Niente da fare: se non vogliamo perdere l'attenzione dell'uditorio, ci serve l'aiuto di una voce autorevole.
Corre in nostro soccorso il padre di tutte le definizioni, Giovanni Treccani.

"Dicesi logopedia quella branca interdisciplinare della riabilitazione che mira a correggere disturbi del linguaggio. 
Strettamente connessa alla foniatria, da cui in un certo senso deriva, utilizza programmi di intervento che poggiano su un complesso di cognizioni afferenti alla medicina prevalentemente neurologia e otorinolaringoiatria, alla psicologia, alla glottologia e alla pedagogia.
Il campo d’azione del logopedista riguarda soprattutto i disturbi della comunicazione, nei quali l’opera riabilitativa (e preventiva, in alcuni casi) richiede, accanto a manovre di impostazione dell’articolazione del linguaggio, anche e soprattutto interventi di tipo pedagogico-associativo, per favorire il recupero o lo sviluppo delle strutture cognitive e delle operazioni mentali, ed eventualmente di tipo psicoterapico. Tra i campi di intervento della l. sono numerose logopatie (disturbi del linguaggio di origine centrale) a diverso meccanismo di comparsa (per es. difettosa impostazione fonatoria, difetto articolatorio, difetto intellettivo, cause socio-ambientali)....".

Blablabla.

Aspetto segni di approvazione. Niente da fare. Ancora sguardi dubbiosi e facce scettiche.

"Ok, e nella pratica?"
Non me ne voglia il sig. Treccani, ma hanno ragione loro. Messa così non si capisce.

Nella pratica bisogna sapere e saper fare un po' di tutto.
Nella pratica bisogna confrontarsi con le persone.
Con i genitori che arrivano in studio, spaventati: convincerli che queste smorfie possono aiutare il figlio a comunicare è spesso difficile. Ancor di più lo è accettare che non tutte le patologie si risolvono con gli antibiotici. Soprattutto quelle non visibili. Ai tempi di Wikipedia, sempre più spesso giungono mamme con diagnosi ottenute navigando su internet; di fronte ad un problema, si tende a cercare la soluzione sul web, strumento tanto potente quanto pericoloso se usato senza la mediazione e l'interpretazione di uno specialista. Una volta no; una volta, mi ricordo, si andava dal medico di famiglia, dalla pediatra, onniscienti e onnipotenti, per i quali si nutriva un rispetto reverenziale.
Con le insegnanti, frequentemente private di qualsiasi potere educativo, costrette a limitarsi ad un mero passaggio di informazioni.
E infine, con i bambini, i veri protagonisti di tutta faccenda, alcuni dei quali conoscono il significato di "taggare" (sic!) ma non sono capaci di raccontare la favola di Cappuccetto Rosso. Altro che erre moscia.
Qualcuno è tenero e affettuoso; qualche altro si rivolge a te chiamandoti "bananona", un altro ancora ti chiede se sei fidanzata.
Alcuni sono arroganti, viziati, provocatori.
Ce ne sono di buffi e possono insegnarti tante cose: per esempio che per divertirsi, a volte, non serve molto, bastano dei gessetti colorati.

Prendersi cura delle persone ti apre una finestra sul mondo, ti induce a riflettere.
Ti  obbliga a confrontarti con dinamiche sociali e relazionali profondamente diverse, a metterti in discussione ogni giorno.

Concludi citando il prof del liceo, con una frase dal retrogusto dickensiano (che non guasta mai):
"Nonostante tutto, prendersi cura delle persone è un privilegio".

Alla fine, riesci (quasi) a convincerli.

E' anche questa, la logopedia. Abbiamo voluto raccontarvela in questa breve dissertazione, la quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

 Cecilia Brogi

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